Tenstar_Gharib_e_Sami_AbbasPer il sesto appuntamento della sua inchiesta sull'associazionismo veronese, VeronaLive ha incontrato Tenstar Community. Una lunga, lunghissima conversazione con Sami Gharib e Abbas Gharib per parlare dei loro progetti e attività, ma anche di architettura, di complessità, della società attuale basata sulla produzione legata all'energia (energy-based society) che dovrebbe trasformarsi in una società basata sulla produzione di sapienza (knowledge-based society). E molto altro...

Simone Rebora: Partiamo con una breve storia: quando nasce l'idea di Tenstar Community, su iniziativa di chi e perché?

A. G. – L'idea ha preso corpo in una giornata festiva della primavera del 2000. Ci trovavamo ai margini di una spiaggia del Golfo Persico con degli amici con diverse esperienze nei settori creativi. Ognuno di noi riportava quello che si stava trasformando nel proprio settore in relazione al nuovo ruolo dei paesi emergenti nell'assetto generale dell'economia occidentale, e la percezione dei primi segnali di una crisi generale in arrivo.

Guardando dall'estero con una panoramica più ampia, si percepiva di fatto che il predominio sui mercati mondiali della produzione, lavoro e consumo stava velocemente cambiando, spostandosi dall'Occidente verso i Paesi Emergenti.

E forse è proprio grazie alle nostre esperienza all'estero che si è riusciti a comprendere meglio ciò che stava avvenendo in termini di crisi in Occidente e che di conseguenza avrebbe coinvolto i nostri interessi per il lavoro, la creatività, la cultura e la formazione, considerando il nostro coinvolgimento nelle due realtà.

Adottare un metodo comparativo è stato determinante, nell'ambito di una inarrestabile crisi strutturale, tentando di comprender bene le vere ragioni, che avrebbero comunque potuto assumere un valore edificante, sia come emergenza ma anche come una risorsa per le nostre scelte successive.

Al rientro in Italia, abbiamo segnalato anche ai nostri referenti sensibili all'argomento e ai nostri ordini professionali, ciò che stava accadendo come un cambiamento significativo. Da tutto questo autonomamente abbiamo creato l'associazione del terzo settore Tenstar Commuinty.

S. G. - Naturalmente, posso aggiungere che questo processo non è stato semplice e lineare. Su un punto eravamo convinti e il tempo ci ha dato ragione: è fondamentale organizzarsi in associazioni, comitati e fondazioni, e soprattutto fare rete, cioè cercare di unire più organizzazioni possibili con obiettivi simili e complementari.

Non credo che ci siano molti altri strumenti disponibili per chi pensa alla necessità di una trasformazione, culturale e creativa del tutto sociale. Quindi, proprio sulla base di queste osservazioni, abbiamo pensato di fondare l'associazione.

Partendo dalla nostra attività principale e le attività dei nostri referenti, sono dieci i settori creativi che ci riguardano da vicino e da cui il nome Ten: Architettura, Design, Engineering, Rigenerazione Urbana, Fotografia, Grafica, Cinematografia, Musica e Performing Arts.

S. R. - Questa vostra interpretazione della crisi è diversa da quelle consuete?

S. G. – So che tu ti occupi della teoria della complessità e conosci la questione della interconnettività, attraverso la metafora della "farfalla che battendo le ali nell'Oriente crea uno Tsunami in Occidente".

Quando ci muoviamo di fatto tra Occidente e i paesi emergenti riscontriamo ovunque una sfrenata potenzialità produttiva soprattutto in questi ultimi, da cui un eccesso di prodotti e merci sui mercati di consumo, pena l'incapacità di assorbimento da parte della massa.

A questo fenomeno di sovrabbondanza materiale si accompagna una sovrabbondanza di capitali che non trovano occasione o garanzia di ritorno e quindi di investimento, la cui conseguenza è una massiccia offerta di mano d'opera a basso costo nei paesi non occidentali. Il risultato è la chiusura delle fabbriche e la crescita della disoccupazione che è quasi universale nell'Occidente.

Questo fenomeno comporta per le comunità locali, più intraprendenti e attente, la necessità di comprendere questi fatti di non potere più contare, e probabilmente mai più contare, sui modelli tradizionali di investimento sulla produttività tradizionale-obsoleta.

Dobbiamo abbandonare la psicosi di voler "tornare a crescere come una volta" anziché proiettarsi ad un futuro emergente. Una dietrologia che poi di fatto si trasforma in una sottomissione ad una regressione di produzione superflua, con la quale convivere per un tempo indefinito di disperazione, mentre progrediscono i paesi emergenti, sempre più numerosi.

A. G. – Esiste un'altra possibilità per intraprendere una nuova strada con fiducia proiettandosi al futuro, con il recupero dell'economia, affrontando le imminenti sfide nell'ambito dei nuovi equilibri del sistema entro cui si dovrà operare per adottare un modo del tutto diverso di lavorare, relazionarsi e produrre.

Cerchiamo una condizione migliore di quella che abbiamo avuto in eredità secondo idee e proposte basate su economie superate con una costituzione debole. Servono, appunto, approcci completamente diversi in cui si dovrà mettere la conoscenza in primo piano per una società sapiente come fase successiva a quella industriale. Come dicono all'estero: "From Energy Based Society to the Knowledge Based Community".

S. R. - L'idea, quindi, è datata dieci anni fa tra l'Oriente e l'Occidente. Ma come è nata l'Associazione in Italia?

S. G. - Sulla base delle osservazioni che abbiamo fatto, assieme al team formatosi in Medio Oriente, ci è sembrato fondamentale organizzarci e impegnarci in associazioni, comitati e fondazioni, e soprattutto fare rete, cioè cercare di unire più organizzazioni possibili con obiettivi simili. Non ci sono molti altri strumenti disponibili per chi pensa a una trasformazione sociale, culturale e creativa, che non è solo una nostra formula.

La nostra associazione si è formata inizialmente con il nome Ten International Development, quando era un progetto ancora generico. Quindi c'erano due iniziative da intraprendere: fare un'associazione nel terzo settore, e registrala in Italia, perché riteniamo che l'Italia sia il contesto migliore per lo sviluppo dei tre fondamenti del nostro agire: formazione, cultura e creatività.

Questo a partire dalla storia di TEN, considerando che non è stata un'operazione semplice da comunicare, soprattutto a quegli italiani che non credono a queste possibilità. Tutto questo è invece possibile proprio per le componenti sia storiche che attuali.

A. G. - L'Italia possiede tutte le risorse per arrivare verso realtà più ampie a partire da una situazione di autosufficienza che non richiede una crescita di tipo tradizionale, che non è possibile, ma una ridistribuzione delle risorse perché la gente abbia la tranquillità per pensare alla propria emancipazione culturale, economica, sociale, politica, sessuale, religiosa, artistica e scientifica che è alla base di una società sapiente a cui ci ispiriamo.

S. R. - Quali sono in sintesi gli obiettivi di Tenstar Community?

S. G. - Gli scopi della Community sono appunto formazione, cultura e creatività, nell'ambito dei dieci (TEN) settori creativi di cui abbiamo parlato, che sono stabiliti anche dall'ONU, dall'Unesco e dalla Commissione Europea per la Cultura.

Sarebbero sedici, in realtà, perché ci sono anche altri settori come Scienza Bibliotecaria, Scienze Museali, Scienza Gastronomica ...

Il turismo, invece, è un settore a sé stante. Non facciamo parte di quel gruppo che sostiene che è il petrolio dell'Italia. L'Italia ha molte altre possibilità, mentre il turismo si può sviluppare in maniera pressoché spontanea e naturale se il resto dei settori creativi funzionano adeguatamente.

S. R. - Un progetto non poco ambizioso, specie considerando il grande numero di settori creativi che mettete in relazione. Non correte il rischio, in questo modo, di andare verso la dispersione?

A. G. - I dieci settori creativi, considerati singolarmente in modo statico, possono anche non creare innovazione dando luogo a ripetizione e routine. Siamo abituati ad affrontare i fattori della complessità, che esaminano una realtà fatta di componenti multiple che interagiscono tra loro.

Attraverso la Teoria della Complessità cerchiamo di far interagire queste componenti tra loro. L'interazione crea dei piani complessi, e assieme ai partecipanti e soci cerchiamo degli strumenti innovativi per risolvere le complessità così create: da qui può nascere un nuovo tipo di crescita sulla base della sapienza.

Se tutto ciò può riferirsi alla teoria della complessità è perché abbiamo avuto un prezioso contributo da parte di un giovanissimo scienziato italiano, Walter Fontana assieme a Susan Ballati che abbiamo incontrato all'Istituto della Complessità a Santa Fe, nel New Mexico negli Stati Uniti. Loro sostengono che la complessità non è né generalizzabile né onnicomprensiva, ma è uno stato particolare di un certo sviluppo o lavoro inizialmente lineare e semplice.

La complessità non coinvolge ogni fenomeno fin dalla partenza, ma si sviluppa attraverso una fase di interazione tra le diverse componenti. Anche grazie a questo tipo di approccio alla complessità è stato possibile avviare un lavoro oppure un progetto interattivo.

Se non ci fossero questi strumenti, i settori che interagiscono tra di loro rischiano di congelare il processo innovativo, fermandolo. Naturalmente, lo strumento principale per svolgere questo tipo di lavoro è l'informatica, dove occorre usare tutti gli strumenti disponibili e più aggiornati.

S. R. - Se volessimo sintetizzare in uno slogan o in un pensiero questa vostra complessa metodologia di lavoro, quale sarebbe?

S. G. - Più che in uno slogan o un pensiero, ti diremmo che serve una azione. Una azione rivoluzionaria e gioiosa e partecipativa, di cui ci sono tutte le basi anche se la gente sembra non accorgersene.

L'Italia è particolarmente adatta a questo tipo di azione per la sua cultura, per l'eredità artistica e per la sua storia passata. Le grandi civiltà antiche come quella persiana e romana, hanno influenzato, rivoluzionato e riordinato il mondo.

Il Rinascimento ha avuto un'influenza formativa, culturale e creativa per il mondo intero. È chiaro che si tratta di un fenomeno con dei principi che sono attuali ancora oggi.

L'Italia è il primo paese che ha scoperto la forza rivoluzionaria del capitalismo e della modernità in Toscana, come scriveva lo stesso Friedrich Engels che certo non è un amico del capitalismo.

Chiamiamola costruzione della Società Sapiente nell'ambito di una civiltà mediterranea che è stata il fulcro della civiltà odierna. È una questione di gioia e equilibrio.

Una società della conoscenza genera processi e azioni che mette a disposizione di molti membri della società sapiente ed utilizzate per migliorare la condizione umana. Una società superiore a quelle passate di tipo rurale, industriale, tecnologica e informatica.

S. R. - Tornando a parlare delle vostre attività a Verona, qual è il rapporto con le altre associazioni in zona? Avete già avuto delle occasioni per "fare rete"?

S. G. - Il nostro obiettivo è allargare il reticolo delle comunicazioni, perché serve una ampia partecipazione e un grande senso di responsabilità cittadina per le trasformazioni che vogliamo stimolare, senza agire con una sola organizzazione.

Tenstar Community dialoga continuamente con altre associazioni: per esempio Verona Reattiva, Cineclub di Verona, San Giò Film Festival di Verona, Omid International Foundation , la Società delle Arti, Lettere e Scienze per il Veneto, Creative Class Group di Richard Florida in USA e la stessa VeronaLive.

S. R. - Che rapporto avete, invece, con il Comune e le principali istituzioni cittadine? La vostra critica si rivolge anche a loro?

A. G. - Ci muoviamo parallelamente alle istituzioni, quindi non abbiamo una criticità diretta. Abbiamo però rapporti con altri comitati e associazioni, come per esempio il Comitato per l'Arsenale Asburgico di Verona, che si misura continuamente con le amministrazioni.

Quindi, un punto di vista critico verso l'amministrazione esiste, per gli interventi che rischiano di non essere realizzati e se realizzati, risultano insostenibili e insoddisfacenti per la cittadinanza.

Questo vale per molte altre componenti naturali oppure manufatti della città. Vedi ad esempio una zona amplissima, adiacente al centro storico, come il potenziale Bosco Urbano dello Spianà di Verona, dove potrebbe sorgere un polmone verde per la città di Verona tenendo conto che si tratta di una delle città più inquinate d'Italia.

Quindi, se un'occasione del genere fosse finalizzata per costruire piscine, altri campi sportivi o ristoranti, si perderebbe una potenzialità enorme per essere al passo con i nostri tempi per la rigenerazione sociale. Inoltre, ci sono ancora altre realtà simili, come la splendida Villa Pullè di Chievo, che è un manufatto storico con un parco ampio più di dieci ettari adiacente al Parco dell'Adige. Oppure il Lazzaretto di Verona, l'ex carcere di Campone e molti altri luoghi di riferimento. Quindi per forza abbiamo una dialettica con le amministrazioni.

S. R. - Tutte questioni di fondamentale importanza, dalle quali però si deduce quanto siano determinanti per voi i problemi di carattere urbanistico e di rigenerazione urbana. Non si tratta in questi casi di attività del vostro studio di architettura? E come viene coinvolto il versante associativo?

A. G. - Come studio di architettura siamo attivi soprattutto all'estero, dove ancora esiste la necessità di costruire. In Italia siamo assolutamente contrari ad aggiungere un solo centimetro cubo di cemento per aumentare la superficie del costruito.

Non sono assolutamente necessarie altre cementificazioni. In Italia, secondo Assoedilizia, sono presenti oltre 2,5 milioni di edifici abbandonati, molti dei quali di pregio e da recuperare. Una stima in difetto, a cui bisogna aggiungere tutta l'archeologia industriale e molto altro!

Quindi questa volontà di recuperare, rivitalizzare, riutilizzare e riempire questi spazi di contenuti innovativi è uno dei nostri obiettivi. Naturalmente, questo tipo di progettazione è un'architettura sociale, che parte dalle ricchezze di base ed esige la partecipazione cittadina. È esattamente a partire dalle associazioni e dai comitati, che si può avere delle risorse, una ricchezza dal basso per una progettazione partecipata. Due concetti che non sono la stessa cosa, ma si sostengono a vicenda.

S. R. - Ma parlando concretamente?

S. G. - L'obiettivo è quello di vedere adibiti questi spazi a luoghi multidisciplinari di ricerca e di sviluppo, attraverso formazione, arte e cultura in relazione al concetto di rigenerazione sociale: cioè, semplicemente, il miglioramento della qualità di vita delle persone.

Pensiamo fermamente che la società attuale, che è una società di produzione legata all'energia (energy-based society), abbia raggiunto il momento di passare a una società basata sulla produzione di sapienza (knowledge-based society).

Per una società sapiente serve però anche il progetto, la proposta. È necessario che la progettazione sia partecipata, proiettata al futuro, che riguardi il recupero dell'esistente piuttosto che aggiungere costruito: sono questi i progetti sui quali stiamo lavorando. Progetti che servono da un lato per fare delle proposte sostenibile e durevoli, basate sulla sapienza e sulla conoscenza, che facciano crescere prosperità e ricchezza. Perciò, si agisce in questo modo, cercando di persuadere le amministrazioni e gli investitori a puntare su questo percorso, che è davvero fattibile.

S. R. - Come ha accolto, Verona, le iniziative che avete organizzato?

S. G. - A tale proposito, consigliamo vivamente di vedere il nostro sito (www.tenstar-community.org) oppure le pagine dei social network di Tenstar Community, dove è documentata tutta l'attività dell'associazione. All'interno del sito si trovano anche dei blog, che trattano dei problemi di cronaca più recenti.

Una semplice lettura può aiutare a toccare con mano la nostra filosofia "in azione". Tutto ciò sarà sempre trattato in modo trasversale da Tenstar, che è un'associazione priva di ideologia. Quindi Verona ha accolto bene e in modo partecipativo le nostre iniziative.

S. R. - Ci potete fare qualche anticipazione sulle vostre iniziative future?

A. G. - Il prossimo workshop, il sesto a cavallo del 2013 e 14 che stiamo organizzando, avrà un tema controverso che tratta la questione del recupero del patrimonio preesistente. Stiamo vivendo nella seconda decade del terzo millennio inoltrato, ma vengono adottati paradigmi per progettazione e proposte che sono ancora novecenteschi, se non addirittura ottocenteschi.

In questo cambiamento radicale del passaggio al XXI secolo, così netto da considerarlo un passaggio di taglio storico, abbiamo metodi e paradigmi aggiornati? Possiamo affrontare una crisi di obiettivi e di orientamenti, con particolare ricaduta negativa sullo spazio fisico e sul paesaggio con una forte minaccia climatica ed ambientale?

S. G. - Il Novecento è stato importante, con grandi movimenti ma con la pretesa di generalizzazioni ideologiche piatte, ed ha dato origine a dei sistemi assolutamente incuranti alle conseguenze ambientali, urbane e paesaggistiche.

Ad esempio durante il secolo scorso hanno lavorato tanto sull'architettura personalizzata, ma hanno curato poco le città.

Abbiamo aumentato in modo esponenziale la generazione di ogni genere di prodotto, senza pensare alle problematiche di assorbimento e distribuzione e lamentandoci del calo del consumo. Abbiamo del resto creato un abnorme volume monetario accumulato in pochi fondi che non trovano né occasioni né il coraggio per essere rinvestiti. Su questo bisogna riflettere.

S. R. Come di consueto, chiudiamo con qualche domanda tecnica: qual è la natura della vostra associazione?

S. G. – Ten è un'associazione certamente del terzo settore come organizzazione non lucrativa di utilità sociale. Abbiamo sempre fatto riferimento a economisti come il Premio Nobel Yunus, che vedono nel terzo settore avanzato un nuovo tipo di impresa, che crea risorse. Quindi, non è una Onlus nel senso tradizionale, ma un nuovo tipo di fonte di lavoro e prosperità sostenibile attraverso i "settori creativi".

S. R. - Tenstar è attiva prevalentemente sul territorio o anche al di fuori?

S. G. – Ten, come abbiamo accennato, è nata all'estero, ma il nucleo operante è ormai in Italia.

Ora, il metodo è quello di agire dal locale verso l'universale. Ogni cittadino ha il dovere morale di vedere cosa è recuperabile in senso qualitativo, a partire dal suo ambiente, dal suo quartiere e dalla sua città.

Quindi pensiamo che sia fondamentale conoscere e partire dal micro per andare verso il macro e poi tornare indietro a rivedere i fatti. Siamo parte di quei "localisti" che non riducono la loro azione ad un territorio limitato.

S. R. - Quanti sono i soci? Quanto spesso e dove vi riunite?

S. G. - Le riunioni sono quasi settimanali nella sede di Tenstar. Per quanto riguarda il numero dei soci il discorso è più complesso: ad oggi abbiamo avuto più 47mila interessamenti al nostro sito. Stiamo cercando un ampliamento quantitativo e qualitativo allo stesso tempo. Se aggiungiamo anche le persone che collaborano con noi, appartenenti ad altre associazioni, arriviamo a 2-300 persone, molto impegnate con il loro senso di responsabilità, convinte che il loro impegno come cittadini è tanto importante quanto quello del politico o dell'amministratore pubblico.

S. R. - Come reperite in genere le risorse per finanziare i vostri progetti?

S. G. - Attraverso le nostre stesse risorse che, invece di essere state dislocate altrove, sono state investite in Italia. Poi, ci sono le quote associative e versamenti una tantum di persone interessate alla nostra azione, e contiamo anche sui finanziamenti internazionali ed europei. Infine, mettiamo a disposizione i prodotti dell'associazione, tra arte, architettura, design e gli altri settori creativi.

Simone Rebora

www.tenstar-community.org

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