1_OTELLO_Giuseppe_Battiston_ESTATE_TEATRALE_2014_ph.antonella_antiMettere in scena un dramma di William Shakespeare nel 450° anniversario della sua nascita è in primo luogo un atto di devozione: rispettare il testo canonico, ma anche adeguarlo alle esigenze del pubblico contemporaneo; scavare in un serbatoio linguistico e simbolico già ampiamente indagato (se non proprio saccheggiato...) ed essere capaci di estrarne ancora qualcosa di nuovo.

L'Otello di Giuseppe Battiston, frutto di una elaborata gestazione e giunto al Teatro Romano di Verona lo scorso 2 luglio, si confronta con tutto il peso di questa investitura, facendo leva su diversi spunti interessanti, non senza alcune ombre. Accantonato il progetto originale di Pappi Corsicato, lo spettacolo è passato nelle mani dello stesso Battiston e di Paolo Civati, che ne firmano la regia modificando il titolo in Lost in Cyprus, sulle tracce di OTELLO. Il risultato finale è a metà strada tra il teatro e il metateatro, laddove ogni sovrapposizione di livelli finzionali è in primo luogo un omaggio al testo: e quindi, salvo una breve introduzione informale, lo spettacolo non tradisce mai la sua matrice.

Battiston tenta di spiegare il senso della sua operazione. Qui si è voluto in primo luogo offrire la possibilità di "toccare con mano" il testo shakespeariano: a momenti di pura recitazione, si alternano così fasi di "lettura recitata". Ciò che ne risulta, però, è ancora più complesso. Perché da subito non si può non restare interdetti di fronte all'attitudine (piuttosto "pro forma") di recitare le parti appoggiandosi a un presunto leggio (mentre non cala l'intensità dei dialoghi né si spezza la finzione scenica). Ma l'effetto straniante è ancora più subdolo e sottile: sembra quasi che, per quanto lo si voglia indebolire sul piano finzianale, il testo di Shakespeare resti vivo nel profondo, quasi a scapito degli attori stessi.

Elucubrazioni teoriche a parte, il merito va sicuramente riconosciuto al buon livello delle interpretazioni: dall'Otello tutto fisico e viscerale di Battiston allo Jago asciutto, crudo e selvaggio di Francesco Rossini, fino alla splendida Desdemona interpretata da Federica Sandrini, capace di passare da vette di dolcezza a una terribilità drammatica, tanto intensa quanto priva di parole. Scenografie scarne ma luci intense, quasi sovraccariche, si abbinano ai riff elettronici per dare spessore (ma anche una certa pesantezza) alle scene più intense di questo psicodramma della gelosia, dell'odio e dell'auto-illusione. La storia la conosciamo già tutti, e il gusto di assaporarla in tutta la sua crudele bellezza affascina ancora dopo quattro secoli. Qui manca forse il suo spessore simbolico e le complesse implicazioni razziali: tutto si ritrova schiacciato nelle profondità più torbide della psiche e sulla superficie più limpida del testo. Un difetto, certo. Ma anche due motivazioni più che sufficienti per affermare l'attualità dell'Otello in questo scorcio di terzo millennio.

Simone Rebora

Lost in Cyprus, sulle tracce di OTELLO da William Shakespeare
fino al 5 luglio al Teatro Romano di Verona
regia di Giuseppe Battiston e Paolo Civati
traduzione di Patrizia Cavalli
scenografia di Carlo De Marino
disegno luci di Pasquale Mari
con Giuseppe Battiston, Francesco Rossini, Federica Sandrini, Giovanni Calcagno, Michele De Maria, Domenico Diele, Valentina Fois e Emanuele Vezzoli
 
Foto di Antonella Anti
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