Conclusa la serie delle prime nazionali, il Festival Shakespeariano giunge al termine con un'ospite d'eccezione: la Propeller Theatre Company, nata nel 1990 e considerata ad oggi la migliore interprete delle opere di William Shakespeare.
Sul palco, una Bisbetica domata recitata da soli uomini, proprio come nella migliore tradizione del teatro inglese del cinque-seicento: ma la messa in scena, ovviamente, spicca per originalità, ironia e potenza fisica. E pur nella sua gustosissima inappropriatezza, lo spettacolo trasmette in maniera schietta e immediata una concezione del teatro che, forse, oggi va sempre più scomparendo.
La Propeller Company invita infatti a un approccio "totale" con l'opera rappresentata, coinvolgendo direttamente il pubblico già da prima dell'ingresso in scena. Difficile pure individuare un vero inizio, con gli attori che si aggirano nella platea e giocano più volte a rompere la finzione scenica. Nell'intervallo, poi, spazio alla musica da cantare tutti assieme, seduti a cavalcioni sul proscenio. L'intero spettacolo mantiene una forte caratura musicale, con intermezzi suonati live e un ritmo travolgente nei cambi scena, ma pure i dialoghi scorrono via attraverso tempi sincopati. La freschezza del testo shakespeariano si esprime in tutta la sua potenza metrica e linguistica, con sfumature che vanno dal flamenco fino a toccare ritmi rap.
È ovviamente una Bisbetica domata tutta in lingua originale, ma i sovratitoli in italiano risultano alla fine un puro elemento accessorio. Lo spettacolo resta infatti godibilissimo al di là del wit e dei giochi di parole (sempre geniali, e in molti casi pressoché intraducibili): tutti gli interpreti hanno già nella gestualità o nella semplice declamazione un'espressività diretta e coinvolgente. Una menzione particolare va poi riservata alla scelta di non servirsi di microfoni o amplificazioni, scelta coraggiosa in uno spazio aperto come il Teatro Romano, ma più che mai efficace nello stabilire un legame diretto e umano con il pubblico.
The taming of the shrew espone una storia fatta di inganni e di travestimenti, carica d'ironia e facezie. Ma come sempre avviene in Shakespeare, nulla può essere ridotto alla sua semplice apparenza. Il consueto espediente della mise en abyme, è qui portato alle sue estreme conseguenze, fino a mettere in dubbio la consistenza stessa della pièce. L'"addomesticamento" della sposa bisbetica è un esercizio di crudeltà, che si nutre pure di un malcelato maschilismo; ma alla fine del sogno di Christopher Sly, ogni elemento resta sospeso in una dimensione duplice, non pacificata. Come sottolinea il regista Edward Hall: "La nostra cultura indotta dai media ci chiede giudizi immediati su tutto. Shakespeare ci insegna a non farci catturare da questo vortice, ma a soffermarci a pensare prima di giudicare". Una lezione di etica quanto mai attuale, che ci giunge attraverso il "classico" per antonomasia della letteratura teatrale moderna. Simone Rebora