
Mercoledì
21 marzo al Camploy
Le intellettuali di Molière
traduzione di Cesare Garboli e per la regia di Arturo Cirillo, messa in scena del “Nuovo Teatro Nuovo” - Teatro Stabile di Innovazione Mercadante di Napoli.
ultimo appuntamento con la prosa della rassegna L'altro teatro organizzata dall'Assessorato allo Spettacolo del Comune di Verona in collaborazione con Arteven, ETI e Arcus, e con il sostegno della Regione del Veneto. In scena Le intellettuali di Molière firmate da Arturo Cirillo, in una versione che il traduttore Cesare Garboli definisce ispirata al “gusto aperto di contraddirsi e con un rapporto dialettico, elastico, continuamente sottolineato, fra il vetusto e il moderno, il morto e il vivo, fra oggi e ieri, fra oggi e «allora»”. Les femmes savantes fu rappresentata per la prima volta a Parigi, al Palais Royal, l’11 marzo 1672, con Molière che vi recitava la parte di Crisalo. La pièce piacque e fu replicata dieci volte con ottimi incassi. Per la cronaca fu il penultimo spettacolo di Molière, che morì l'anno successivo recitando Il malato immaginario. La trama ruota attorno alla contrapposizione tra due stereotipi di donna: quella colta e sofisticata e quella frivola e “terra terra”. La scena si apre con le sorelle Armanda ed Enrichetta (figlie di una coppia di opulenti borghesi) che discutono sul ruolo della donna nella società. La prima antepone l'erudizione, l'amore per l'arte e la filosofia all'istinto materno, alla famiglia e all'amore terreno. La seconda vede invece nella cultura un artifizio che allontana le persone dalla vita reale e sogna il matrimonio e la famiglia. Altri personaggi intervengono nella contesa. Dalla parte di Armanda si schierano Filaminta, madre delle due sorelle e convinta sostenitrice della parità tra i sessi, la cognata Belisa, donna che vive di sogni improbabili e Trisottani, melenso uomo di cultura autore di versi sgradevoli e stantii, esponente di un sapere accademico e tradizionale, fatto solo di forma. Dalla parte di Enrichetta ci sono invece il pusillanime Crisalo (padre delle due ragazze), Clitandro (corteggiatore di Enrichetta dopo essere stato respinto da Armanda) e Martina, domestica passionale che si lancia in una sgrammaticata filippica in difesa delle tradizioni patriarcali. Il regista vede Le intellettuali “come la più dissennata apologia del potere, in cui destra o sinistra, aristocratici o popolari, rozzi o snob, ricchi o poveri, tutti sono ugualmente in fila per un meschino posto al sole”. E di fronte a questa galleria di mostri che non risparmia nessuno – né le «intellettuali», sorta di femministe ante-litteram ambiziose ed evanescenti, contraddittorie e sospese tra ambizioni e tradizioni, né gli «intellettuali», né il servile e tronfio Trisottani, né il misantropo borghesoccio Clitandro, né il «buon padre di famiglia» ottuso e vigliacco – Molière, sempre nelle parole di Cirillo, non può tifare “per nessuno, perché in questo testo sono tutti sufficientemente indifendibili”. Regista per il “Nuovo Teatro Nuovo” - Teatro Stabile d’Innovazione di Napoli, Cirillo, alle prese con questo classico che si dimostra uno specchio anche per l’Italietta di oggi, non lascia molto spazio alla speranza, dimostra piuttosto quanto l’ipocrisia generale del Seicento della Controriforma sia parallela alla pochezza e alla meschinità degli attuali tempi cupi. “Si ha il sospetto che nessuno sia in buona fede, che nessuno dica veramente ciò che vuole”. L’unica certezza è che “sia la cultura che le ragioni del sentimento qui sembrano tutte finalizzate ad un’acquisizione di sempre maggiore potere” prosegue Cirillo. Si tratta di un testo –sottolinea – “ad alto tasso di conflittualità, una sorta di logorroico salotto televisivo dove trionfa un'aria fritta alla millesima potenza, un chiacchiericcio vacuo per quanto formalmente ineccepibile”.
La bellissima traduzione di Cesare Garboli, che oltre ad avere un ritmo molto preciso nella sua struttura ha anche il grande merito di usare un italiano che ci riporta continuamente al nostro presente, alimenta la continua contaminazione tra passato e attualità. In fondo per il regista questo “spettacolo ha come protagonista il teatro, è quindi finto ma dice delle verità: recitando si parla del mondo con i suoi poteri e le sue perversioni. Lo spettacolo non è completamente nell'oggi o nell'allora del diciassettesimo secolo, è nel presente contraddittorio della rappresentazione”. Molière riesce a “dire tante cose su di noi, le nostre famiglie, i nostri intellettuali, le nostre complicazioni sessuali, il nostro egoismo”, ci parla della dialettica tra intellettuali e potere, dell’ipocrisia interna alla famiglia, dei legami tra arte e politica e del degenerare del ruolo dell'intellettuale da «legislatore» a «interprete», o peggio ancora a «portavoce» dei potenti. Molière ci mostra le contraddizioni, i luoghi comuni, le virtù e le debolezze, le prevaricazioni sessuali, le violenze e le sconfitte di un mondo in cui possiamo riconoscere il servilismo di tanti voltagabbana di oggi, maestri nell'arte di approfittarsi e di arrangiarsi. Comunque “lo spettacolo non sposa una tesi, o un partito, si cerca di stare dalla parte di tutti e contro tutti, perché grazie alla grandezza di Molière ogni personaggio ha le sue ragioni che convivono con una bella dose d'ipocrisia. I moventi sono nobili, i fini ignobili”, e ciò vale per tutti, nessuno escluso.
La scena di Massimo Bellando Randone è scarna, costituita da siparietti-specchio, pareti che riflettono e che deformano le immagini, che brillano di scintillii barocchi e mascherano come in un'attrazione da luna park. Il pavimento nero lucido si sporca lentamente di tracce, impronte, polvere, resti e frammenti di cibo. I costumi, di Gianluca Falaschi, sono sfolgoranti, retorici, sovraccarichi: parrucche evidenti come protuberanze, medaglie al valore, corpi compressi e repressi in bustini seicenteschi, un’opulenza decisamente pacchiana. La recitazione della compagnia tende al delirio e al visionario, segue un sottile slittamento verso un “sopra le righe” stridente come un gessetto sulla lavagna, utilizza una metateatralità caratterizzata dal gusto per il farsesco che non evita divertiti ammiccamenti. Un Molière ai limiti del grottesco, divertente e disturbante, ricco di rimandi al teatro di Cecchi o a quello di Peppino, una tronfia abbuffata finale in cui l'ordine perbenista trionfa su tutto e tutti.
Data inizio: 19-03-2007
Data fine: 21-03-2007